Qualcuno ci ha chiesto: “Quali accordi avete stabilito con Il Partito Democratico, a livello nazionale o a Verone?”. Risposta: nessuno. Inizialmente abbiamo cercato il contatto con alcuni responsabili del PD veronese. Nessun seguito. Perciò ci siamo mossi in autonomia. Alcuni iscritti al PD ci hanno ringraziato per il nostro lavoro. Qualcuno si è meravigliato che i responsabili del PD non abbiano neppure fatto una telefonata per ringraziare e incoraggiare. Non è successo, anche se i voti che abbiamo recuperato a favore del PD e dei suoi candidati sono stati parecchi. Ora cosa ci aspettiamo? Ci prepariamo a una nuova campagna elettorale nel caso che non si riesca a fare il governo. Ciò che ci auguriamo (lo abbiamo proposto tante volte, ma oggi ci pare più urgente e importante che mai) è che il PD veronese apra le porte e promuova, coinvolgendo anche noi, un impegno programmatico sulla Verona che verrà, a contatto con iscritti e persone disponibili a essere presenza viva.
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E’ servito il nostro intervento durante la campagna elettorale?
Crediamo di sì. Informazione, dibattito e confronto sono comunque utili, per evitare scelte in base a mode e impressioni. Il fatto che si sono manifestate differenze tra gli interlocutori può aiutare a capire e ad approfondire le posizioni diverse di persone stimate. Chi ci tiene a rendersi conto di come si muove la politica provi a elencare gli argomenti che riempivano i mass media durante la campagna elettorale e scriva, a fianco, i temi all’attenzione nel periodo post elettorale. Farà scoperte utili. Ci preme sottolineare che una persona che emerge (in politica, nell’amministrazione o in altre attività) subisce critiche e offese da tutte le parti, da ‘nemici’ e da ‘amici’. La storia insegna che molte persone che vogliono emergere mettono in croce chi si impegna, gli innovatori e chi cerca vie nuove (ce lo ricorda questo tempo di Pasqua). Anche per questo ogni nostra valutazione va motivata. Le critiche possono essere meritate; molte però sono dovute alla volontà di abbattere un concorrente ritenuto pericoloso. Ci riferimento al personaggio Matteo Renzi, prima osannato e poi colpito e umiliato. Continua a leggere
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Come sono andate le recenti elezioni politiche?
L’aver votato è di per sé positivo. In un tempo in cui i Cinesi puntano su un capo a vita; i Russi accettano un capo fin che lo decide lui; la Corea del Nord un dittatore osannato e affamatore del popolo; i Venezuelani un dittatore che impoverisce e massacra; i Siriani un capo che uccide e bombarda i sudditi e via dicendo, che l’Italia voti è una festa, mai scontata. La soddisfazione aumenta perché, inaspettatamente, gli italiani votanti superano il 72%. Se guardiamo poi l’età di eletti e dirigenti, risulta che non siamo più un popolo governato da vecchi: tutte le età sono rappresentate, con una presenza rilevante di cittadini tra i 20 e i 40 anni. E’ confermata anche la presenza notevole di donne elette: il 34%.
Preoccupano altri dati. Uno, quasi ignorato dai commentatori politici, ci pare di grande peso: a chi hanno dato il voto le mafie? Sconcerta quanto accaduto in Sicilia: pochi mesi fa, alle elezioni regionali, ha vinto alla grande il Centro Destra, con presidente Musumeci, proveniente da Alleanza Nazionale e voluto da Meloni e Salvini. Chiediamo: come si spiegano la sconfitta alle politiche dello stesso Centro Destra e la vittoria schiacciante del M5S in tutti i collegi uninominali dell’isola? Un fenomeno simile si è verificato in Calabria, Puglia, Campania e Basilicata. La domanda è scontata (ma chi se la pone tra commentatori e capi politici?): quanti milioni di voti sono in grado di spostare le mafie del Sud e in parte del Centro Italia? Nel resto dell’Italia, la quantità di voti pilotati è inferiore, ma rilevante. Chi conosce il fenomeno mette in guardia: le mafie consolidano il loro potere; hanno un ruolo decisivo nel Sud e in parte del Centro, dove decidono, di volta in volta, quale partito appoggiare perché ritenuto, in quel momento, vincente e affidabile. Si muovono anche in altre aree dell’Italia. Si deve combattere ogni infiltrazione. Il fatto che i capi del M5S, vincitore in tutto il Sud e in altre zone d’Italia, hanno deciso di controllare possibili infiltrati è una conferma che il fenomeno esiste.
E il Partito Democratico?
Veniamo al PD, il partito che abbiamo sostenuto. La sconfitta, attesa, è diventata disfatta, oltre ogni previsione. Di positivo c’è che questo partito potrà vivere (non è detto che lo faccia)un periodo di purificazione e Continua a leggere
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Il Popolo della Famiglia: una possibilità, non una scelta per l’oggi
Ringraziamo amici, conoscenti e lettori per l’attenzione al nostro servizio informativa in vista delle prossime elezioni politiche. Un tema sta particolarmente a cuore ai nostri lettori, molti dei quali cattolici praticanti: la famiglia. E’ aspra e convinta la critica alla nostra decisione a favore del Partito Democratico, visto come affossatore del valore stesso della famiglia. Si chiedono: “Come possono dei cattolici votare e proporre di votare il PD?”. Ci preme dire che condividiamo la visione della famiglia che qualifica la proposta cattolica. Invitiamo però tutti a ragionare con serenità .
La politica è importante; può fare un grande bene e un grande male alle persone, alle famiglie, alla cultura, all’urbanistica , all’economia, … Però la politica non può fare tutto; non è la salvezza; non può imporre una visione morale. Essa coglie ciò che si muove nella popolazione e aiuta (o dovrebbe aiutare) i cittadini a vivere meglio. Ma come si individua questo “meglio”? E’ questo il compito del dibattito culturale, a livello locale, nazionale, europeo, mondiale. Anche il dibattito sulla famiglia nasce e cresce nella società. Per secoli noi cristiani abbiamo avuto la possibilità di mostrare il bene che è la famiglia nella società. Ma cosa è successo? Diciamo poche cose, vissute direttamente. Abbiamo subito una visione distorta di famiglia. Ricordiamo che una mamma, anche la nostra, prima di rientrare in società e nella chiesa dopo il parto, doveva sottoporsi a una specie di rito di purificazione. Ricordiamo che in chiesa gli uomini si collocavano da una parte e le donne dall’altra. Ricordiamo che (anni ’70), quando si è cominciato a proporre gruppi formativi per sposi, l’opposizione di importanti componenti ecclesiali è stata dura, quasi punitiva: significava scardinare la tradizionale catechesi per soli uomini e per sole donne. Ricordiamo i sorrisetti quando si è cominciato a parlare di corsi biennali per fidanzati: era già molto il corso fidanzati. Ricordiamo che valorizzare una donna incinta al di fuori del matrimonio e il suo bambino era visto con sospetto. Ricordiamo i richiami all’ordine quando in Azione Cattolica si è cominciato a parlare del protagonismo degli sposi nella formazione delle famiglie e degli adulti e nella pastorale … Si riteneva che il valore religioso e civico della famiglia fosse scontato, inattaccabile. Conseguenza: tra una visione della realtà immobile e una società in grande movimento, è arrivato l’esito del referendum sul divorzio: la cultura cattolica usciva sconfitta. Poteva essere l’occasione per promuovere un rinnovato confronto sulla famiglia. Ricordiamo il dibattito acceso tra il Vescovo Carraro (Giuseppe), l’Azione Cattolica e altre componenti del laicato cattolico. Tutti ci siamo impegnati a mettere al centro la famiglia e l’accoglienza della vita. Molti di noi hanno riconosciuto gli errori del passato e parevano decisi a operare perché le famiglie diventassero protagoniste nella società e nella chiesa. Uno degli slogan era: “A parlare della famiglia e a testimoniarne il suo ruolo devono essere le famiglie, non i preti”, che comunque hanno un compito importante. Ricordiamo il proliferare di iniziative, di settimane di formazione e simili. Abbiamo deciso, assumendocene anche la spesa, di inviare a Roma la famiglia Loro, a frequentare l’Università della Famiglia, voluta da papa Giovanni Paolo II. Il fatto che gli iscritti a questa scuola (mondiale) siano stati pochi e che la nostra coppia sia stata trattenuta a Roma per ruoli importanti, è significativo dei limiti culturali di tutta la Chiesa cattolica. A Verona, l’impegno iniziale è stato notevole. Però, passati alcuni mesi, nonostante lo stimolo della Pastorale Familiare diocesana, tutto è tornato quasi come prima. Conseguenza logica: abbiamo continuato a subire le forze anti famiglia, fortissime a livello mondiale (basti pensare all’Organizzazione Mondiale della Sanità e al mondo economico e della pubblicità). Negli anni ’70 – ’80 ripetevamo che o si interveniva con energia oppure in pochi decenni si sarebbero sposati solo i cattolici praticanti. Ci siamo vicini. Una grande speranza, a Verona, è stata la nascita del Centro culturale Giuseppe Toniolo, con lo scopo di rimettere al centro una cultura di ispirazione cristiana, aperta al confronto con altre culture. La partenza è stata buona, ma le difficoltà del confronto e l’incapacità dei cattolici di crescere insieme nelle diversità hanno fatto decadere il Toniolo, fino all’attuale stato comatoso. Anche a Verona, noi cristiani ci siamo chiusi in noi stessi, gelosi del nostro “salvare il salvabile”. Ma chi non propone è fuori e oggi noi cattolici impegnati siamo, per i più, una retroguardia culturale.
In questa situazione alcuni di noi oggi ritengono che lo Stato possa promuovere la grandezza della famiglia come descritta dalla Costituzione. Non succede e non succederà per molti decenni, chiunque sia al governo nazionale. La storia ci ha sconfitto. Se decidiamo di rinascere, i problemi si affrontano prima sul piano culturale. Un solo esempio: i metodi naturali per la regolazione delle nascite. Oggi pochi ci badano, ma fino a una trentina di anni fa, le famiglie cristiane vivevano con grave difficoltà l’incontro sessuale. Alcune famiglie, a Verona, hanno svolto una funzione preziosa, tanto che oggi una veronese è responsabile dei metodi naturali di regolazione delle nascite a livello nazionale. Chi ha avviato e sostenuto questa esperienza? Pochissime persone. Bisogna ringraziare queste famiglie per il percorso compiuto a servizio della propria esperienza familiare e della società, tanto che la Regione Emilia Romagna ha chiesto al gruppo veronese di formare il personale pubblico delle sue USSL in modo che fosse in grado di presentare i metodi naturali alle donne e alle coppie disponibili. Un altro errore abbiamo fatto: ci siamo allontanati dalla politica, che comunque è necessaria. Una delle scelte in atto, per un rientro in politica, è il Popolo della Famiglia, che parte dalla coscienza della centralità della famiglia e su di essa costruisce un programma politico e predispone le liste dei candidati. E’ scelta possibile. A un patto però: che si presenti un progetto complessivo di società, nel quale la famiglia svolga il ruolo, privato e pubblico, che le spetta. Se manca questo progetto si perde tempo e si disperdono energie preziose. C’è tra noi chi percorre un’altra strada, quella dell’inserimento in un partito o in un movimento in gradi di arrivare al governo della Nazione e che, nel programma, lasci aperto il confronto sulla famiglia. Percorso possibile, ma con gravi difficoltà di realizzazione, perché oggi la mentalità della grande maggioranza degli Italiani sta seguendo altre visioni, che prescindono dal valore della famiglia e dell’accoglienza gioiosa della vita che nasce.
La strada è obbligata: preparare e proporre un nuovo progetto culturale che ci veda protagonisti del dibattito culturale veronese e nazionale, vincendo la superficialità imperante e riscoprendo, come popolo, i valori fondamentali della famiglia e dei figli che nascono per noi. Questo percorso sarà comunque lungo e difficile. Ne possiamo parlare tra noi (Popolo della Famiglia, cattolici impegnati in partiti e movimenti, persone impegnate in vari modi). Ne possiamo poi parlare con il Vescovo e con il Vicario per la Cultura, con lo scopo di riavviare il Centro culturale Toniolo, il centro diocesano per la pastorale familiare e tutti i gruppi che hanno un’attenzione alla famiglia. Da lunedì prossimo siamo disponibili. Il più bravo prenda l’iniziativa.
Nel frattempo però riteniamo importante votare il Partito Democratico: l’unico raggruppamento in grado di governare l’Italia nei prossimi anni. Personaggi come Gentiloni, Renzi, Padoan, Franceschini, Del Rio, Minniti, Calenda, Martina sono una garanzia per l’Italia. Quale alternativa possono offrire Berlusconi, Salvini, Meloni, Di Maio? Chi e che cosa sono in grado di proporre per il bene dell’Italia e dell’Europa? A questa domanda dobbiamo rispondere, con unico riferimento al bene comune e al futuro del nostro popolo.
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Silvio Berlusconi e Matteo Salvini. Non li votiamo
Dedichiamo poco spazio ai signori del Centro Destra: un’armata Brancaleone che conosciamo, formata, da quando Salvini è il segretario della Lega, da leader contrapposti in tutto: persone che vedono solo se stesse; che non accettano avversari politici, ma solo sottoposti. Proviamo a ripercorrere gli ultimi 5 anni: sono fatti di invettive tra i due. Salvini ha emarginato o cacciato i suoi avversari interni alla Lega e ha ripetuto per anni il ‘no’ a Berlusconi come alleato, criticandolo aspramente come persona e come leader di Forza Italia, raggruppamento di cui Salvini dichiarava di vergognarsi. Cosa faranno questi signori nel caso malaugurato che debbano essere insieme al governo dell’Italia? Quali sceglieranno tra le loro proposte: diverse e inconciliabili? Fa tremare il solo pensiero che, tra qualche mese, siano loro a determinare le scelte della politica italiana.
Il fatto più grave (dispiace che molti italiani lo dimentichino) è che Berlusconi, in particolare, e la Lega (allora Nord), per anni al governo della nazione, hanno dimostrato che non sanno governare. Un solo ricordo: all’inizio della grande crisi economica (anni 2007 – 2008), il futuro dell’Italia si è mostrato nella sua drammaticità. La crisi era pronta a colpire duramente il mondo occidentale e oltre, e in particolare l’Italia. Giulio Tremonti, l’allora ministro dell’Economia del governo Berlusconi, ha condiviso la gravità della situazione (oggi paga quella sua autonomia: Berlusconi non lo vuole tra i suoi). Berlusconi, invece, presidente del consiglio, negava ogni crisi economica; esaltava l’economia italiana e portava come elemento a suo favore che le pizzerie erano piene e la struttura economica italiana era solida. In questa situazione di insipienza, all’Unione Europea, timorosa che Berlusconi portasse al tracollo non solo l’Italia, ma l’Europa intera, non restava che operare, trattando anche con il presidente Napolitano, per la sostituzione del governo Berlusconi, trovando appoggi anche in persone e gruppi del Centro Destra. Gli Italiani non possono dimenticare che, di fronte al pericolo imminente, il governo Berlusconi prometteva provvedimenti drastici, ma poi, nelle riunioni del governo, non venivano prese decisioni, come la riforma delle pensioni. L’Italia ha dovuto ricorrere al governo Monti, appoggiato e votato anche dal Centro Destra, che ha pure votato, come un salvatore, la conferma di Napolitano alla Presidenza della Repubblica. Non si tratta di un fatto unico: tutti i governi Berlusconi hanno lasciato l’Italia a terra. Come è possibile che l’Italia si metta ancora in mani incapaci? Altro fatto, grave: Berlusconi non è mai riuscito a fare squadra: i suoi governi sono finiti con fratture interne pesanti (pensiamo agli scontri con Fini, Casini e molti esponenti di Forza Italia), che rendevano difficile ogni decisione. Parlando del futuro Berlusconi ha fatto un solo nome per il suo eventuale governo: Renato Brunetta al Ministero dell’Economia. Che ne diciamo? Lui al posto di Carlo Padoan? Essendo poi Berlusconi nell’impossibilità di candidarsi, ci sarebbe una compresenza: quella di un ispiratore politico (Berlusconi) accanto a un presidente del consiglio fantoccio: situazione ridicola se non fosse sgradevole e impossibile. Inquieta poi l’ipotesi, per quanto lontana, di un Berlusconi con qualche legame con le mafie (aveva in casa un mafioso riconosciuto) e dedito a comportamenti e atteggiamenti discutibili. Ce n’è abbastanza.
Non prendiamo in considerazione Salvini, persona che sprizza odio con il suo semplice presentarsi. Chi non capisce che il rispetto delle persone è al centro della democrazia è bene che se ne stia lontano. Pensiamo a quanto odio e a quanto disprezzo hanno prodotto Salvini e la Lega, a partire da Verona. Non possiamo permettere che questi atteggiamenti facciano parte della nostra cultura. Le decisioni possono essere anche dure, ma nel rispetto delle persone e delle leggi.
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NO. Non voteremo il Movimento 5 Stelle
Proviamo a immaginare quello che avverrà tra un paio di mesi nel M5S: si presenteranno in Parlamento circa 200 persone, gran parte delle quali si vedranno per la prima volta: potranno queste persone, per quanto valide, governare l’Italia dal maggio prossimo e dare il proprio contributo unitario a livello europeo e internazionale? La risposta è netta: NO. Un programma comune per l’Italia è una lunga e dura conquista e implica una visione comune almeno nell’essenziale. C’è chi dice: ci penserà il Movimento a indirizzare il gruppo. Illusione. Ci può dire il M5S qual è il suo programma: l’Italia che vogliamo? E l’eventuale programma sarà di tutto il gruppo? NO: prima di tutto perché il programma non c’è. Manca una proposta sia a livello nazionale e internazionale sia nei singoli comuni. Basta verificare il nulla prodotto dagli eletti M5S nel Comune di Verona negli anni della loro presenza. Oggi il Movimento manda avanti persone forse non peggiori di quelle dei partiti, ma certamente non migliori e, per giunta, addestrate a considerarsi superiori e alla critica malevola nei confronti degli avversari. Mancano poi personalità capaci di indirizzare nella libertà e per il bene comune. Che arrivi al governo nazionale questo gruppo è un rischio e un pericolo, in una realtà politica ed economica che presenta grandi difficoltà. Aspettiamo i nomi dei ministri che Di Maio presenterà nei prossimi giorni. Ci pare però difficile che siano persone all’altezza di Gentiloni, Renzi, Padoan, Minniti, Franceschini, Calenda, Del Rio, Martina, che hanno dato prova di capacità, intelligenza e dedizione. Pensiamo proprio che l’Italia ci guadagnerà cambiando facce?
C’è poi un’altra questione capitale aperta. Dal marzo prossimo cosa farà Beppe Grillo? Ammettiamo che resti in politica: sarà ascoltato e obbedito come è successo negli scorsi 5 anni? Ne dubitiamo molto: il tempo dell’obbedienza è comunque finito. Se poi Grillo, come pare, si farà sempre più da parte, il nuovo capo politico, Luigi Di Maio sarà all’altezza del compito? Noi pensiamo di no. E comunque la competizione interna e il confronto sulla visione di Europa, di Italia, di politica saranno forti e pesanti. Possiamo anche prevedere grandi cambiamenti nel movimento. Difficile prevederne le conseguenze per gli Italiani e per l’Europa. Rischiare non conviene.
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I Cinquestelle …….oltre ogni limite (2 articoli)
Mentre Beppe Grillo si smarca dalla sua ex creatura, il Movimento decide l’inimmaginabile: esclude dalle liste elettorali chi dice parolacce: “Il turpiloquio nei confronti degli avversari politici a mezzo social è da considerarsi ostativo ai fini della candidatura”. Questo dopo anni in cui la frase più carina rivolta a un rivale è stata: “Ti bruceremo”; dopo centinaia di comizi nei quali Beppe ha mandato a quel paese il mondo intero; dopo aver umiliato Vendola e molti altri e aver definito la Montalcini “vecchia puttana” , ….Che sia uno scherzo? Forse. Proviamo a rileggere quanto è avvenuto in Veneto.
Una decina di persone, già nelle liste del M5S per le prossime elezioni politiche, anche se rigettate dal Movimento, saranno elette. Sono coloro che, nello scandalo dei rimborsi, hanno ammesso di aver barato sulle rendicontazioni. Uno è amico degli Spada di Ostia. Uno paga un affitto di 7 euro per una casa popolare. Due hanno trascorsi o esperienze nella massoneria. Sono fuoriusciti prima di essere eletti. Probabilmente finiranno nel futuro Gruppo Misto, con il quale chi governerà dovrà fare i conti. Pareva inimmaginabile: i 5 Stelle predicano da anni contro il “cambio di casacca’, cioè contro il passaggio di un eletto da un gruppo all’altro, arrivando a proporre che, per escludere questa possibilità, si cambi un articolo della Costituzione. E proprio loro, in questi giorni, creano le condizioni perché queste persone, che loro hanno messo in lista, aderiscano al Gruppo Misto, cambiando casacca. I 5 Stelle mostrano un foglio che i fuoriusciti dovrebbero firmare, con la rinuncia a candidarsi e alle elezioni. Ma il foglio non ha valore. Gli stessi 5 Stelle rassicurano: “Si dimetteranno”. Non è vero: nella passata legislatura un parlamentare si è dimesso 5 volte, ma l’Assemblea ha respinto le dimissioni e il parlamentare si è collocato nel Gruppo Misto. La forte multa prevista dallo Statuto per i transfughi è inutile e anticostituzionale. Qualcuno ha dichiarato che non firma la rinuncia. Altri accetteranno l’elezione e non resteranno un minuto nel gruppo di Di Maio. Un fatto crea scompiglio: Silvio Berlusconi ha avviato contatti con questi ex grillini. Se accoglieranno il suo programma …
Maria Elena Martinez ha regolarmente presentato la sua candidatura alle “parlamentarie” indette dal M5S per ottenere la candidatura al Parlamento. La domanda non è stata accolta, senza spiegazioni. La Martinez ha fatto ricorso alla Magistratura, chiedendo l’annullamento del voto. Il ricorso è stato respinto ed è stata confermata la validità delle “parlamentarie”. Nelle motivazioni però il magistrato usa toni duri: “L’obiezione del M5S che solo il capo politico abbia la facoltà di valutare ed escludere le candidature, anche senza motivazione, è fondata, ma prescinde da ogni considerazione circa l’evidente distanza di tale clausola statutaria da canoni minimi di democrazia interna. Distanza che si ravvisa in più di un passaggio statutario”. Conclusione: “Resta giuridicamente irrilevante la circostanza che ad oggi il M5S non abbia reso note le ragioni sottese alla decisione di non includere la Martinez nelle proprie liste”. Inimmaginabile. Dove sono finite le virtù sbandierate dai 5 Stelle: onestà, restituzione dei soldi, mai impresentabili in lista, uno vale uno, trasparenza, democrazia …. ? Il giudice dice che lo Statuto del M5S non è democratico. La Martinez esulta: “Il giudice ha evidenziato la verità storica. Il re è nudo”.
Nota. I grandi proclami che hanno caratterizzato la storia del M5S cadono miseramente. Cade soprattutto l’esigenza di democrazia interna al Movimento. Si sa che è difficile trovare gli accordi, soprattutto in politica, ma, per risolvere questa situazione, Grillo ha deciso di puntare su un capo che, a termini di Statuto, potrà imporre le sue scelte, senza dover dare spiegazioni, avendo a che fare con persone che non conosce e che faticheranno sempre più ad adeguarsi. Durerà il Movimento 5 Stelle, senza Grillo?
Democrazia vado cercando. Almeno un minimo
Beppe Grillo annuncia sul suo Blog la svolta: poteri assoluti a Luigi Di Maio e 27 obblighi, regole, divieti, sanzioni (tutti stabiliti dall’alto, senza democrazia) per gli eletti nelle liste dei 5 Stelle, “al servizio di un sogno”, che, afferma Di Maio, è quello di andare al governo. Si toglie potere all’opposizione interna. Sarà implacabile il controllo da parte del “capo politico, che ha la facoltà di “valutare la compatibilità delle scelte con i valori e le politiche del Movimento”. Gli eletti saranno sottoposti a una rigida disciplina. Ecco alcuni obblighi: votare sempre la fiducia a un governo 5 Stelle; rinunciare a pensioni ‘privilegiate’; dimettersi in caso di espulsione; divieto di conferire incarichi a conviventi, affini e parenti fino al secondo grado; tutti i portavoce eletti, in caso di espulsione, dovranno pagare una somma pari al 50% degli emolumenti percepiti nell’anno; multa di 100.000 euro per i parlamentari che lasciano il Movimento (multa incostituzionale e inesigibile perché contrasta con il vincolo di mandato previsto dalla Costituzione) e per chi venisse espulso nel corso della legislatura; contributo mensile degli eletti (300 euro) per mantenere il Movimento e le piattaforme tecnologiche dell’apparato informatico che supportano l’attività dei gruppi e dei singoli parlamentari. Non c’è più l’obbligo a non associarsi con altri partiti (novità che preannuncia la fine del tabù alleanze). Il garante sarà eletto, ma la carica rimane a tempo indeterminato (è possibile?). Potrà però essere sfiduciato (possibile?). Capo politico, tesoriere (sempre Di Maio), comitato di garanzia e i tre probiviri saranno eletti. Non ora, però: secondo una norma transitoria, stavolta sono stati designati. Si vedrà tra 5 anni. Secondo lo Statuto il capo politico potrà essere sfiduciato dal garante. Il leader (politico) rimane in carica per 5 anni e può fare due mandati consecutivi. Novità apparentemente contraddittoria: si aprono le liste a candidati esterni.
Gli eletti saranno liberi o sottomessi? Si chiama “vincolo di mandato” l’obbligo del parlamentare di agire secondo le istruzioni ricevute dalla forza politica per la quale è stato eletto. L’articolo 67 della Costituzione lo vieta: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. Va bene o no il “vincolo di mandato”? Se la risposta è ‘sì’, bisogna cambiare la Costituzione. Ma è pensabile obbligare, con vincolo assoluto, gli eletti, ad esempio i 5 Stelle, a votare secondo ordini di partito? E’ contro la Costituzione, ma anche contro la democrazia, la libertà di scelta, la logica della rappresentanza parlamentare. Grillo e i suoi propongono una logica autoritaria che trasforma gli eletti in automi, senza personalità e autonomia. Indicare addirittura una pena pecuniaria per chi, nel corso della legislatura, non si riconosce più nella linea del partito trasforma le elezioni in una pura nomina che toglie ai parlamentari ogni diritto di scelta. Chi punta a ottenere la maggioranza di seggi in Parlamento non può chiudersi in una logica di piccola setta modellata sul volere illimitato di un capo o di un gruppo di capi. I parlamentari non possono essere considerati come votanti a comando, controllati da una struttura che predetermina ogni scelta. E’ pericoloso il solo fatto che un partito di governo proponga idee di questo tipo. (riscritto sulla base di una nota di Pierluigi Battista).
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l meglio e il peggio di Beppe Grillo e del Movimento 5 Stelle (2 articoli)
Il regolamentino interno del M5S prevede che gli eletti in Parlamento e nei consigli regionali devolvano parte delle loro entrate al Fondo per il microcredito alle imprese (Fondo), gestito dal Ministero dello Sviluppo e dell’Economia. Dello stipendio (5.000 euro al mese) devono restituire 1.800 euro; della diaria (circa 3.500 euro al mese, a seconda delle presenze alla Camera e al Senato) e delle spese per l’esercizio del mandato (3.700 euro al mese circa, più un bonus ogni 4 mesi, per un totale di circa 4.000 euro) devono restituire i soldi non spesi per l’attività parlamentare: collaboratori e consulenti, iniziative sul territorio, alberghi, ristoranti, benzina. Più alte sono queste spese, meno si restituisce, il che ha spinto alcuni a gonfiare gli importi di spesa. Il sistema si basa sulla fiducia: va bene la cifra che il parlamentare dichiara: non ci sono pezze giustificative. Dalla fine del 2013 al 9 febbraio 2018 i parlamentari 5 Stelle hanno versato al Fondo 23.200.000 euro.
Il Fondo concede garanzie pubbliche su prestiti fino a 25.000 euro a lavoratori autonomi e piccole imprese con non più di 5 dipendenti. Nei 5 anni le richieste di garanzia accolte dal Fondo sono 8.082. Il 70% (5.134) arrivate da piccole imprese del commercio; le altre dal mondo dei servizi e dall’industria. Più della metà delle garanzie concesse (4.820) è andata a favore di imprenditori del Sud; 1.752 del Nord; 1.510 del Centro. Le Regioni con più prestiti sono Sicilia (1.535) e Campania (1.382). Sono in corso 5.735 operazioni di microcredito. Nella maggior parte dei casi il prestito è già stato restituito (e l’operazione è conclusa) o è in corso di restituzione. Quanto rientrato viene assegnato per altri prestiti. In 97 casi i crediti concessi non sono stati restituiti, con una perdita di 1.500.000 euro. In 4 casi l’azienda è fallita, per cui il Fondo ha perso 78.778 euro.
Alcuni eletti 5 Stelle (una buona parte ricandidati) hanno falsificato le restituzioni. C’è chi, come Di Battista, ha trattenuto migliaia di euro per pagare gli avvocati che li difendono dalle querele. C’è chi, come la Lombardi, denuncia che un ladro le ha rubato la borsa in cui c’erano gli scontrini. Tutto in ordine sul piano legale: non è fuori legge che alcuni parlamentari si siano trattenuti soldi che sono loro. Il fatto grave è che queste persone hanno sottoscritto delle norme, imposte dal Movimento, e poi si sono comportate in altro modo. Per un Movimento che sostiene di essere formato da persone ‘diverse’: migliori, la disonestà è sul piano morale. Non è poi giustificabile che le cifre che i parlamentari devono restituire vengono gonfiate, così da ridurre l’avanzo da riconsegnare al Fondo e intascare più soldi. E’ pure grave che tutti sanno, ma nessuno dice niente, anche perché non c’è nessun controllo.
Luigi Di Maio, capo dei 5 Stelle, una volta verificato che, a causa di donazioni non effettuate, mancano al Fondo circa 800.000 euro, ha imposto la linea dura: chi (almeno una decina di persone) non è in regola con i versamenti è fuori dai 5 Stelle. Conclude: “Ho sbagliato a fidarmi. Il Movimento chiederà a chi si è rivelato massone; a chi paga un affitto di 7 euro per un alloggio polare; a quanti non hanno restituito i soldi e a chi ha mostrato comportamenti indegni, di rinunciare al posto in Parlamento”. Gli ex parlamentari e i candidati coinvolti sono stati deferiti al Collegio dei Probiviri che dovrà scegliere se sospenderli o espellerli dal Movimento. La realtà però non è semplice: gli eletti potranno essere esclusi dal Movimento, ma non dal Parlamento: solo le Camere votano le dimissioni di un eletto. Nel frattempo gli eletti possono aderire al gruppo misto.
Nota. La scelta per cui gli eletti restituiscono agli italiani parte del ricavato dalla politica è encomiabile: va tutta a vantaggio di chi l’ha proposta. E’ il meglio delle decisioni di Grillo. Magari gli altri partiti avessero fatto altrettanto!
Rivolta in Veneto
Ferdinando Garavello, responsabile stampa M5S in Veneto, Continua a leggere
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Qualche numero ci aiuta a capire
(dati della Fondazione Ismu al dicembre 2017)
Gli stranieri regolari che vivono in Italia da anni sono più di 5 milioni. Lavorano, studiano, pagano le tasse. Tra loro i romeni sono 1.200.000; gli albanesi 450.000; i marocchini 420.000.
Oltre 500.000 sono gli irregolari: l’8%.
Nel 2016 gli occupati erano 2.400.000, il 10% del totale. L’86,6% sono lavoratori dipendenti. Oltre il 70% sono operai, più del doppio degli italiani.
Il tasso di disoccupazione è in diminuzione (15,4% contro il 16,2% del 2015): comunque alto.
Gli stranieri in età lavorativa inattivi sono 1.181.000: il 72% sono donne; oltre il doppio che tra le coetanee italiane (tra i 15 e i 24 anni).
Sono 153.700 gli stranieri in attesa di verdetto sul diritto di asilo politico, cioè di rimanere in Italia. Sono poche le espulsioni: pochi Stati accettano i rimpatri.
Criminalità, all’agosto 2017: su 839.496 segnalazioni su denunce e arresti, quelle che riguardano stranieri sono 241.723, il 28,8%. Reati in cui è prevalente la responsabilità di stranieri: il 60% dei furti; il 51,7% dello sfruttamento della prostituzione e della pornografia minorile; il 45,7% delle estorsioni; il 45% dei furti in abitazione; il 41,3% di ricettazioni.
Minori. Sono 202.000 gli stranieri diventati italiani nel 2016: 4 su 10 sono minori che hanno acquisito la cittadinanza per trasmissione dai genitori o quando sono diventati maggiorenni.
Minori non accompagnati: fenomeno grave. Nel 2017 su 18.491 under 18 arrivati,14.579 erano soli.
Studenti (dati Caritas): nell’anno scolastico 2015-16 gli alunni stranieri in Italia erano 814.851, il 9,2% del totale della popolazione scolastica. La scuola primaria accoglie il maggior numero di iscritti con cittadinanza non italiana (297.285), seguita dalla secondaria di secondo grado (187.525), dalle scuole dell’infanzia (166.428) e dalle scuole secondarie di primo grado (163.613). I più numerosi sono i romeni, seguiti da albanesi e marocchini.
Le migrazioni: la realtà e la percezione
La questione migranti cambia il volto della nostra storia: Continua a leggere
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Le elezioni si vincono o si perdono a seconda delle posizioni prese sul tema immigrazione
Lo dimostrano i Paesi europei che hanno votato nel 2017. Anche i fatti di Macerata e simili avranno un peso sul voto.
Proposte emerse in campagna elettorale.
Da anni, oggi in particolare da Salvini, si propone il blocco navale nel Mediterraneo. Sarebbe un’azione militare, disciplinata dallo statuto ONU. Va approvata dalle Nazioni Unite.
Ancora Salvini: propone 100 rimpatri al giorno, stipulando accordi con i Paesi di provenienza dei migranti: le pene inflitte dai tribunali italiani verrebbero scontate nelle rispettive patrie.
Impresa ardua. Occorrono accordi con singoli Stati del Nord Africa. Oggi li abbiamo con 4. Emma Bonino ricorda che, nel maggio 2017, il rimpatrio di 29 tunisini ha implicato una gara d’appalto per trovare un aereo charter, 71 poliziotti, un medico, un assistente sociale e un interprete.
C’è chi accusa il governo italiano perché il calo degli sbarchi significa l’aumento dei maltrattamenti e delle torture dei migranti in Libia e in altri territori dell’Africa. Chi critica deve spiegare cosa dovrebbe fare l’Italia, abbandonata dai partner europei e dalle Nazioni Unite.
Della Loggia: “Il primo percorso di integrazione è il lavoro legale. Ma c’è un dato demenziale in Italia: gli immigrati possono essere assunti legalmente solo dopo procedure complesse. Conseguenza: il loro lavoro resta, in un gran numero di casi, clandestino, in nero, sottopagato. Per modo di dire: da anni, ad esempio, le campagne dell’Italia meridionale rigurgitano di decine di migliaia di giovani, in stragrande maggioranza africani, dediti ai lavori agricoli, sottoposti a sfruttamento infame e in condizioni di vita ancora più infami. Il tutto a vantaggio di proprietari e di organizzazioni malavitose di caporalato. Nell’animo di queste persone si alimentano odio, disprezzo, sentimenti di rivalsa aggressiva verso il Paese in cui si trovano, che parla di accoglienza e li tratta in questo modo. E lo Stato guarda.
E’ da rivedere tutta la legislazione sul lavoro dei migranti
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