Nelle elezioni europee del prossimo maggio, si confrontano 27 (o 28) interessi nazionali diversi e talvolta divergenti. E questo in un tempo di crisi dello Stato nazionale, messo all’angolo sulla scena mondiale. Romano Prodi: “Le elezioni del 26 maggio sono destinate a richiamare, in un contesto più ampio, quelle del 1948 in Italia: come allora, è in causa il nostro destino”. Le domande sono alla nostra attenzione: come ridare voce ad una vera Europa dei popoli? Quale ruolo deve avere la politica? In quali forme? E’ davvero finita la forma partito? I diversi populismi avranno il sopravvento o si possono aprire spazi per una partecipazione consapevole? In questo contesto, dove i legami sembrano venir meno, dove l’individualismo colora i rapporti sociali, dove i diritti individuali sembra abbiano ridotto lo spazio dei diritti collettivi, quale apporto sono chiamati a dare i credenti? Siamo in grado di combattere tutte queste guerre? O non rientrano nella propaganda efficace nell’immediato, ma in realtà velleitaria? Le prove di forza si fanno quando si è forti. E oggi l’Europa (e l’Italia) non lo sono. Per l’Italia i motivi sono il debito pubblico troppo alto, la crescita troppo bassa, l’instabilità politica troppo forte. Ma Salvini e Di Maio non ci badano:
nella strategia dei populisti avere nemici è fondamentale: interni (Inps, Istat, Banca d’Italia) o esterno (Europa, Fondo Monetario, Francia). Non scappiamo: facciamo parte dell’Europa perché dalla solidità della moneta comune che portiamo in tasca dipende il valore dei nostri salari e dei nostri risparmi. Se questa Europa sarà sconfitta, lo sarà in larga misura per colpa nostra: di Europei. Probabilmente l’Unione sopravviverà, ma l’instabilità è destinata ad aumentare, mentre diminuirà la capacità di prendere decisioni per la crescita, l’occupazione, la sostenibilità di tutta l’economia europea. Sull’UE pesa l’incognita del voto di maggio. Bisogna scongiurare che esso faccia prevalere gli euroscettici.