Archivi del mese: aprile 2019

Fino a tre mesi fa Salvini e Di Maio attaccavano l’Europa come fonte di ogni male.

Ora non più. Perché?

Alle prossime elezioni europee si presenterà un numero senza precedenti di partiti appartenenti alla destra neonazionalista (ogni nazione governa se stessa, senza intrusioni di altri). Non conquisteranno la maggioranza, ma possono diventare il secondo raggruppamento in Europa, dopo i Popolari. E’ giusto chiedersi quali progetti i abbiano in mente. Per ora non presentano programmi. E’ difficile che vadano oltre un generico accordo in negativo, a difesa dei popoli contro i famosi burocrati non eletti. Si possono tuttavia intravedere alcuni indizi. Innanzitutto, a differenza di qualche mese fa, questi partiti non vogliono più demolire l’Unione Europea né abbandonare l’euro. Marin Le Pen l’ha riconosciuto espressamente.       Salvini  ha accettato di rimanere nell’eurozona e di rispettare il Patto di Stabilità. Ai leader del gruppo di Visegrad (Ungheria, Polonia, Slovacchia, Repubblica Ceca – a proposito la Slovacchia sta uscendo) fanno gola i molti soldi che arrivano da Bruxelles. Non vogliono uccidere la gallina dalle uova d’oro. Perciò l’avvicinarsi delle elezioni accelera il dialogo con l’Europa. Alcuni di loro da partiti di lotta anti sistema sono diventati partiti di governo. Ad esempio Lega e M5S. Ecco spiegato perché si critica sempre meno l’Unione Europea. Fino a quando? Pensiamoci. Riprenderemo il discorso.

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Tre possibili scenari

I sondaggi sugli esiti delle elezioni del 26 maggio mostrano i tre i possibili scenari del futuro governo europeo: il primo vede il Partito Popolare europeo allearsi con il Partito Socialista e con i liberaldemocratici: 416 seggi su 705. Il secondo mette insieme il Partito Popolare, il Partito Socialista e i Verdi: 366 seggi. Il terzo azzarda una alleanza tra Partito Popolare e gruppi che oggi chiamiamo sovranisti – populisti (sono coloro che vogliono che i singoli Stati dell’Unione possano decidere autonomamente, dichiarando di rispondere, come unico interlocutore, al popolo): 334 seggi, 19 in meno della necessaria maggioranza. Molti temono che questi partiti (sovranisti) ottengano un risultato tale da riuscire a condizionare le politiche europee. In Italia il raddoppio della Lega rispetto alle elezioni politiche 2018 e la perdita di quasi un terzo dei voti da parte del M5S confermano che il voto europeo peserà sul governo italiano e viceversa.

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Da come andranno le prossime elezioni europee dipende il futuro del nostro continente

Ci diranno se l’Europa potrà avere un ruolo importante nel nostro mondo o se è destinata a essere mangiata dalle grandi potenze (Stati Uniti d’America, Cina, Russia). Le elezioni europee del 2019 si terranno nei 27 Stati membri dell’Unione (saranno 28 se parteciperà anche il Regno Unito) tra il 23 e il 26 maggio. La prima volta si è votato nel 1979. C’è una consapevolezza diffusa: se si esclude la propaganda dei politici e dei governi, non ci sono soluzioni pronte e facili sull’Europa da costruire. In gioco c’è anche la difesa di un modello democratico che può essere distrutto dalla paura; che può morire nel suo momento più alto: quello del voto. Sapremo recuperare la lucidità necessaria per riflettere? Sì, se impariamo a riflettere e se invitiamo chi ci è vicino a riflettere. Probabilmente non saranno le prossime elezioni a decretare la fine dell’egemonia delle grandi famiglie politiche in Europa (Partito Popolare e Partito Social-democratico). Per loro però il voto del 26 maggio rappresenta l’ultima possibilità di formulare una rinnovata prospettiva di Europa, che non venga percepita come conservazione del vecchio. L’impegno di elaborazione del progetto è di tutti.

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Confronto pacato o invettive a valanga ?

Molti parlano e pochi ascoltano. Per farsi sentire si alza la voce e si ricorre a slogan, minacce, insulti e calunnie. La violenza verbale diventa aggressività e minacce. Quando si dialoga tra diversi, succede che si alzi la voce; che si arrivi alla violenza delle parole. In questo Salvini e Di Maio sono maestri: hanno moltiplicato le parole aggressive, soprattutto nei confronti dell’Europa. Hanno bisogno di capri espiatori su cui far ricadere tutti i guai e l’Europa si presta alla perfezione. Ma non si può dire: “Pretendo che …” (Di Maio) oppure: “Io me ne frego di …” (Salvini). A quel punto il dialogo è finito. La rete moltiplica le minacce, sdogana il linguaggio violento e il rapporto diretto tra ‘capo’ e popolo. Si privilegiano e si urlano forte le notizie false, più accattivanti di quelle vere. Questo linguaggio aggressivo produce incertezza, disagio, ostilità e degrado dei rapporti umani: frutto avvelenato del nostro tempo. Chi pretende di essere nel vero, al di sopra di tutti, crea rotture difficili da recuperare. Chi usa regolarmente parole bellicose allarga il fossato con il possibile interlocutore. Salvini si distingue per la durezza del linguaggio e per l’atteggiamento di disprezzo nei confronti delle persone diverse da lui. I grillini sono nati e cresciuti con il “vaffa …”. Molti urlano, illudendosi di uscirne rafforzati.

Chi punta alla collaborazione fa il contrario: la ricerca del bene comune europeo impone a tutti gli Stati di comunicare in modo civile; di ascoltare le proposte degli altri Stati e dell’Unione; di essere pronti al confronto chiarificatore. Un esempio negativo: se Salvini o Di Maio ribadiscono a più riprese che, se la Commissione europea avesse bocciato la loro manovra economica, il governo italiano non si sarebbe mosso di un millimetro dalle decisioni prese, mostra che il procedere insieme interessa solo se è a loro favorevole. Il timore per il futuro dell’Italia è che, nonostante le assicurazioni sulla volontà di ancorarsi all’euro, prevalga lo scetticismo e si trasmetta ai mercati l’immagine di un Paese nel quale alle parole non seguono i fatti. Il dover ribadire la fedeltà all’euro testimonia i dubbi persistenti e motivati dal fatto che Di Maio e Salvini appaiono sempre pronti al muro contro muro con l’Unione Europea. Si può pensare che il governo italiano crei pretesti per mettere l’Italia ai margini dell’Europa e magari crei le premesse per una fuoriuscita di fatto dal sistema dell’euro. Continua a leggere

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Preoccupano il debito, il deficit e i progetti non chiari

Il governo italiano, per poter spendere, ricorre a prestiti e aumenta il debito pubblico. Così si allontana il pareggio di bilancio. L’andamento altalenante dello spread sui titoli italiani aggrava il debito. La colpa non sono i complotti anti italiani o i poteri forti: chi deposita i suoi soldi spera di avere un piccolo guadagno; per lo meno, non vuole rimetterci. Conciliare crescita economica e redistribuzione delle entrate richiede preparazione e strategie ben pensate e condivise. A chi guarda l’Italia dall’estero, la strategia di spesa del governo italiano appare un azzardo. Lasciano perplessi la prova di forza con la Commissione europea, i pugni sul tavolo, la modalità di gestione della questione migranti, gli ammiccamenti con Orban e Putin, senza capire che il vero problema sono i risultati concreti. Tutto ciò non rassicura risparmiatori e speculatori: le misure, i progetti, le dichiarazioni del governo italiano sono considerati l’assaggio di una trasformazione politica che potrebbe coinvolgere altri Paesi e forse la stessa Unione. In questa situazione di incertezza e di illusioni come può muoversi chi deve decidere se comprare i nostri titoli di Stato o di investire nel nostro territorio? Il desiderio di cambiare, in Italia, è comprensibile dopo la lunga crisi. Però i salti nel buio sono pericolosi. Continua a leggere

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Il rinnovato “sì” degli Europei all’Unione Europea

Secondo un recente sondaggio, oggi agli Europei l’euro piace più di qualche tempo fa. In Italia, i favorevoli alla moneta unica sono il 57%: percentuale tra le più basse tra gli Stati dell’euro, ma in forte aumento rispetto al 2016 (il 12% in più). I contrari sono il 30% e gli indecisi l’11%. Sembra una contraddizione, se si tiene conto che, nel 2018, la maggioranza degli italiani ha votato due partiti (M5S e Lega) chiaramente euro scettici, in polemica permanente con Bruxelles, sospettati di puntare all’uscita dall’euro e dall’Unione Europea. Allargando lo sguardo all’area euro, il 74% degli Europei sostiene che l’euro come moneta comune è positivo per l’Unione nel suo insieme. E’ il livello più alto dal 2010. Il 64% dei cittadini ritiene l’euro una buona scelta per il loro Paese. La percentuale di intervistati favorevoli all’euro è in costante aumento dal 2002. Il livello più alto di sempre è nel 2017, con un aumento di 8 punti percentuali rispetto al 2016. Il 69% dei cittadini ritiene che “ci dovrebbe essere maggiore coordinamento tra gli Stati dell’euro sulla politica economica”. Tre su quattro “concordano sulla necessità di riforme per migliorare l’economia”.

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Siamo e saremo ancora un continente solidale ?

La questione migranti ha reso evidente che la solidarietà europea è una dichiarazione generica più che una convinzione e una esperienza da vivere insieme. Un’Unione Europea che non riesce a mettere a punto una politica comune ed efficace su un tema così strategico è il segno che siamo lontani dall’unità su valori condivisi. Anzi, in Europa prende piede una linea politica che tende a un profondo ri-orientamento tendente a conservare i privilegi di chi li ha e ad abbandonare chi non ce la fa. L’ungherese Orban ripete che “le prossime elezioni europee sono la grande occasione per fermare il progetto post nazionale e post cristiano perseguito in questi anni dalle elite di sinistra, basato sull’alleanza tra grande capitale e individualismo radicale, che favorisce l’immigrazione e con essa l’invasione islamica”. Per Orban, al seguito della visione politica di Tramp, prima vengono le singole nazioni, la difesa del cristianesimo (più come tradizione che come comunità di fede) e un’Europa come nuovo progetto spirituale nel quadro di una inedita forma di democrazia illiberale. Orban propone di contrastare l’attuale modello sociale e si batte per il primato delle culture nazionali, lasciando sullo sfondo il sogno europeo. Sarebbe un cambio di linea della politica continentale. L’Italia potrebbe diventare l’ariete della nuova destra che promuove lo scontro in vista dell’Europa del futuro. Salvini giocherà le sue carte per ribaltare l’attuale quadro politico continentale e per creare condizioni favorevoli alla sua linea di governo che si riassume nello slogan: “Prima gli Italiani. Che ce ne frega dell’Unione Europea?”. In altre parole: “Prima salviamo noi Italiani. L’Unione Europea viene dopo. Ma proprio dopo”. Sulla base di questa visione diventa grave, per l’Italia e per l’Europa, il rischio della insignificanza: nessuno sa in che direzione si andrebbe.

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Grandi manovre: quale Europa?

I partiti politici preparano le elezioni europee del prossimo 26 maggio. Si cercano convergenze su possibili candidati a ruoli importanti. E il governo italiano? Di Maio ha cercato l’approccio con i “gilet gialli” francesi in funzione anti Macron e Salvini è andato in Polonia. Contemporaneamente abbiamo rotto i rapporti con la Francia e ignoriamo la Germania. Quale credibilità ci procuriamo? Il rischio è che l’Italia sia esclusa dalle decisioni importanti. Quale strategia per il dopo Mario Draghi alla guida della Banca Europea? Francia e Germania hanno firmato un accordo per la guida dell’Unione. E noi? Chi sarà alla testa della Commissione europea? Merkel vuole un tedesco. L’Italia, invece di creare alleanze, minaccia, brucia i ponti con gli alleati tradizionali, costruisce sfiducia, bussa alla porta di Stati come Ungheria e Polonia in nome di una affinità ideologica che non porta a nulla. Pare che ci interessi solo la questione migrazioni. Ma il Progetto Migranti va inquadrato in una visione complessiva, da progettare prima di tutto con gli alleati tradizionali (Germania e Francia) per poi allargarla a chi ci sta. Se ci muoviamo aggredendo e in difesa dei nostri presunti interessi, non si crea un nostro protagonismo positivo. C’è da tremare ascoltando la minaccia di Di Maio di “non versare i 20 miliardi annuali al Bilancio dell’Unione se non ci sarà accordo sulla redistribuzione dei migranti”. E il futuro dell’Unione Europea? Ci interessa? Qualcuno mette a punto una strategia volta a una nuova immagine di Europa? Quali i ruoli nelle sfide decisive? Ma Di Maio e Salvini continuano a parlare di Europa in termini inquietanti. Continua a leggere

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Un mondialismo di sovranismi contro l’Europa

di Sergio Paronetto – seconda parte

Una lotta sui fondamenti

Il presidente Giuseppe Conte il 26 settembre all’ONU ha parlato di «multilateralismo efficace» e «partenariato» con gli altri paesi africani. Come sarà possibile costruire una cooperazione internazionale con impostazioni così escludenti e con un decreto sicurezza orientato a generare una disuguaglianza di tipo etnico, quasi un nazionalismo di sangue? Si vuole dichiarare chiusa la stagione dei diritti umani? La lotta politica è oggi una lotta sui fondamenti, è squisitamente politica: in nome del principio della tribù si stanno riscrivendo i codici morali e politici: dietro la negazione del principio di umanità vi è una concezione di comunità politica che fa a pugni con la patria, che è nella nostra Costituzione. Per questo il presidente Mattarella, rinviando alle Camere il decreto Salvini, ha richiamato l’articolo 10: «L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali». Oggi l’indifferenza ai diritti annulla ogni dimensione morale, sostituita da un darwinismo sociale che fascismi del Novecento avevano utilizzato nel confronto tra i popoli e che ora è dilagato in quello tra gli individui.

L’unità impossibile dei contrari

Mettiamo pure tra parentesi le strategie di The Movement o le manovre congiunte russo-americane. Mettiamo tra parentesi anche le frasi sull’indifferenza ai diritti umani. Alla luce della storia, occorre ribadire che un movimento internazionale di nazionalismi è un ossimoro (accostamento di parole di senso contrario), incapace di unificare i nazionalismi (salvo che in guerre di conquista o nel respingimento del “nemico”). L’idea sovranista cozza contro la ragione politica (il classico rapporto tra mezzi e fini) e ogni logica integrativa. Il 9 ottobre a Roma, durante il ricordato incontro con la Le Pen a proposito della tattica sovranista per le elezioni europee del 2019, Salvini afferma: «ognuno celebrerà le proprie vittorie. Poi vedremo». E’ una frase che non garantisce alcun progetto costruttivo. Dove sta la proposta? Anche ammesso che non si voglia distruggere l’Europa ma cambiarla, allontanando i burocrati o gli speculatori (su questo i sovranisti hanno ampia credibilità), come sarà possibile farlo trattando direttamente con Trump e Putin, minando una prospettiva di integrazione? L’unità delle divisioni è l’unità (in-credibile) dei contrari. Salvini e Di Maio dicono di lottare contro la UE per salvare l’Europa. Come si può farlo con il trionfo di forze concorrenti, esclusiviste ed escludenti? Se ognuno dice prima io (supremazia nazionale) come può nascere il noi europeo (cooperazione internazionale)? Voler salvare l’Europa senza attivare un processo di unità federale è come volere la pace preparando la guerra. Per questo oggi l’enfasi sul primatismo (prima l’America, prima l’Italia…) accresce il disordine istituzionale, aumenta le spese militari e il commercio delle armi, prepara avventure belliche o disastri economici. La storia del Novecento l’ha dimostrato.

Voi griderete?

Nel marasma di urla, insulti e altre violenze verbali oggi c’è bisogno di parole alte e belle. A partire dal monito di papa Francesco il 6 maggio 2016: «Che cosa ti è successo Europa umanistica, paladina dei diritti dell’uomo, della democrazia e della libertà? Che cosa ti è successo, Europa terra di poeti, filosofi, artisti, musicisti, letterati? Che cosa ti è successo, Europa madre di popoli e nazioni, madre di gradi uomini e donne che hanno saputo difendere e dare la vita per la dignità dei loro fratelli?». L’anno dopo, il 28 ottobre 2017, introducendo un incontro su “ripensare l’Europa”, il papa ribadisce che i cristiani sono «chiamati a ridare anima all’Europa, a ridestarne la coscienza». Oggi davanti ai problemi dell’umanità e alle sfide del mondo Francesco ritiene decisivo rivolgersi ai giovani, sui quali si è celebrato il Sinodo dei vescovi. Già il 26 marzo 2018, in occasione della Giornata Mondiale dei giovani richiamandosi a una frase di Cristo (Lc 19, 40) rivolta ai farisei, li ha chiamati a un grande impegno per ricostruire la nostra umanità. «Se gli altri tacciono, se noi anziani e responsabili – tante volte corrotti – stiamo zitti, se il mondo tace, vi domando: “Voi griderete?”. Per favore, decidetevi prima che gridino le pietre».

Un’alternativa formativa

Il 20 settembre 2018, in occasione della “Conferenza mondiale contro xenofobia, razzismo e nazionalismo populista nel contesto della migrazione globale”, Francesco invita i cristiani «ad andare controcorrente, a riconoscere, accogliere e servire Cristo stesso scartato nei fratelli». Il 23 ottobre, presentando il libro La saggezza del tempo, spinge giovani e anziani a conoscere la storia del Novecento in Europa, a «creare coscienza», a respingere «il suicidio» delle guerre dovute alle chiusure nazionalistiche e alla semina dell’odio, giustificate da Hitler con la purezza della razza e l’idea dello sviluppo della Germania. L’invito diventa laicamente un monito a cercare un’alternativa credibile ai sovranismi. Ma esiste un’opposizione? E dove sono i credenti nell’epoca delle paure e del nascente populismo totalitario, alimentato da ossessioni identitarie e dalla strumentalizzazione dei simboli religiosi?

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Un mondialismo di sovranismi contro l’Europa

di Sergio Paronetto – Prima parte

Il governo sovranista si sta orientando in ambito internazionale in due direzioni: l’uso tribale o settario delle istituzioni internazionali viste in funzione dei propri immediati interessi; in prospettiva, la distruzione dell’Europa voluta dal nuovo mondialismo dei sovranismi concorrenti, a servizio di nuovi poteri e delle mire di Stati Uniti e Russia. Si entra così in una contraddizione (non percepita): si pensa di combattere il mondialismo ma si diventa prigionieri di un altro mondialismo frammentato a supporto di sovranità diminuite o inerti. Si pensa di combattere i tecnocrati di Bruxelles (certamente screditati) ma si favoriscono i grandi poteri di Washington o Mosca.

Con gli Stati Uniti di Trump e Bannon

Per quanto riguarda gli Stati Uniti, occorre ricordare che Matteo Salvini, amico del gruppo di Visegrad – Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia – il nucleo nero dell’anti-Europa sovranista, il 7 settembre 2018 ha incontrato Steve Bannon per aderire al suo nuovo raggruppamento The Movement, un’infrastruttura globale per il movimento populista globale, una strana “Internazionale dei nazionalisti”. Chi è e cosa fa Bannon? Collegato a grandi poteri statunitensi (esercito, Virginia Tech, Georgetown, Harvard Business School, Goldman Sachs, Hollywood, poi Washington come consigliere di Trump, più trumpiano di lui), editore dello screditato sito Breitbart news, protagonista di operazioni di disinformazione prima e dopo le elezioni che hanno portato il suo capo alla Casa Bianca nel 2016, coinvolto nello scandalo di Cambridge Analytica, consigliere del presidente brasiliano Bolsonaro, è emigrato in Europa e sta puntando al mercato europeo dell’opinione pubblica di orientamento euroscettico e nazionalista, facendo leva sul mito dell’invasione senza limiti. Egli si presenta come punto di sintesi di alcune spinte aggressive, ora complottiste ora millenariste, ben consolidate: il suprematismo statunitense di matrice razzista, il nazionalismo reazionario russo, il sovranismo populista attivo in Europa, il fondamentalismo religioso anglosassone, la teopolitica dominionista, la visione apocalittica-catastrofista di William Strauss e Neil Howe, il cattolicesimo reazionario antibergogliano.

  In Italia, con il beneplacito di qualche cardinale e dell’Istituto “Dignitatis humanae”, sta aprendo una scuola politica nel monastero laziale di Trisulti, chiamata “Accademia dell’Occidente giudaico-cristiano”, schierata contro il papa. E’ molto presente in Italia che ritiene «il centro dell’universo politico» dove «è in gioco la natura stessa della sovranità, perché dall’esito di questa esperienza dipendono le sorti della rivolta dei popoli che vogliono riprendersi il potere dalle mani delle élite globali che gliel’hanno sottratto». Bannon pensa all’Italia come laboratorio per «il futuro della politica mondiale» guidato da Salvini e Di Maio, «patrioti eroi» come Orbàn, Farage, Le Pen, Strache e gli amici della galassia grigionera.

   Tipico atteggiamento trumpista in Salvini è il rifiuto di istituzioni internazionali orientate alla difesa dei diritti umani (e dei popoli!): di qui la minaccia di non pagare le quote all’ONU dopo la notizia di monitoraggio europeo su episodi di violenza xenofoba e razzista in Italia (10 settembre 2018). Analoghe minacce sono rivolte alla Commissione europea in caso di opposizione alla manovra economica in forte deficit: «Dell’Europa me ne frego» ha esclamato Salvini il 30 settembre a fianco di Marine Le Pen. Nel frattempo, il 26 settembre scorso, il presidente Conte («l’amico Giuseppe» dice Trump) ha incontrato negli Stati Uniti gli esponenti della Blackrock, la più grande società di investimento al mondo che è tra gli azionisti di Google, Apple o Chevron.

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