Ciò che impressiona leggendo i nostri articoli datati giugno – luglio 2012 è che erano abbondanti i dati che potevano aprire gli occhi ai Veronesi. Non è successo: Verona ha continuato a ignorare dati e denunce. In quei tempi poche persone avevano la ‘sfrontatezza’ di parlare e di scrivere di mafie a Verona. Il dato più preoccupante è che, nel 2012, autorità di primo piano non hanno riconosciuto la presenza delle mafie nel veronese escludevano connivenze tra territorio e criminalità organizzata. Eppure sarebbe bastato quanto da noi pubblicato per allarmare. Ancora oggi però pochi parlano dell’argomento.
La novità è che le Istituzioni hanno aperto gli occhi:
– il Governo nazionale ha preso una posizione chiara, di attenzione, specificamente su Verona;
– la Commissione nazionale antimafia è venuta a Verona e ha parlato chiaro: “Stiamo attenti”;
– il nuovo Prefetto si batte con energia per difendere il nostro territorio da infiltrazioni mafiose.
Resta il rammarico: si è perso molto tempo. Già 3 anni e mezzo fa si facevano i nomi dei paesi di Cutro e di Acri; già allora si faceva il nome di Domenico Multari e si parlava, senza nominarli, dei fratelli Giuseppe e Alfredo Grisi, che abbiamo poi trovato all’interno dell’interdittiva del Prefetto nei confronti dell’azienda Gri.Ka. Già allora si metteva in guardia la città dalla eccessiva diffusione dei centri commerciali.
E’ di alcune settimane fa la notizia che l’indagine antimafia “Aemilia” ha portato al rinvio a giudizio di molti sospettati di mafia. Siamo di fronte a una svolta: diventa evidente la presenza pesante della criminalità organizzata in Emilia Romagna e nelle regioni confinanti, compreso il Veneto e, in esso, Verona. Le istituzioni hanno aperto la strada. Ora si aspetta la presa di coscienza popolare, soprattutto nella componente imprenditoriale e finanziaria. Perché si apra la speranza manca un apporto decisivo: quello della politica e delle amministrazioni, che, a parte qualche lodevole eccezione, continuano a far finta di niente. Occorre interrogarsi sulle motivazioni.
Nota conclusiva di Tito Brunelli
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